Passeggiando per le vie delle città siciliane non si possono non notare dei visi dall’espressione solenne e melancolica fare capolino da balconi e finestre. Diventati un simbolo della tradizione sicula per eccellenza, si tratta delle cosiddette “teste di moro”. Celebri sono quelle di Caltagirone, preziose quelle di Taormina, ma se ne trovano in ogni dove. Per i turisti, affascinati da questi vasi dalle fattezze curiose, è d’obbligo procurarsene una come souvenir da un viaggio in Sicilia. Molti le acquistano per farne sfoggio nei propri salotti ed impreziosire il centrotavola. Pochi però ne conoscono il significato e l’origine, che nasconde una storia tanto tragica quanto sanguinaria, in cui l’amore, la passione e la vendetta fanno da protagoniste. Di inequivocabile tradizione siciliana, le teste di moro sono vasi di fine ceramica dipinta e realizzati dalle mani esperte degli artigiani dell’Isola. Raffigurano il viso di un arabo, riconoscibile dai tratti mediorientali e dal colore scuro della carnagione, sulla cui testa è posta una corona. Possono cambiare dettagli: colori, smalti, forma dei tratti somatici, eventuali baffi e barba, elementi decorativi, stile. Si suole trovarli in coppia (uomo-donna) e sono un elemento di decorazione per interni ed esterni.
A fare da sfondo al mito è il capoluogo siciliano, Palermo. In piena dominazione araba, attorno al secolo XI, nell’antico quartiere arabo Al-Halisah (ovvero, l’eletta), oggi conosciuto come La Kalsa, viveva una fanciulla. Ella era dedita alla cura delle piante e dei fiori che coltivava con grande premura sul suo balcone. Un giorno un giovane e affascinante moro si trovò a passare casualmente da quelle parti e vide la ragazza. Rimasto folgorato da cotanta bellezza, bastò un solo sguardo per invaghirsi di lei e ad essere pienamente contraccambiato. Fu così che i due intrecciarono una relazione amorosa destinata a durare nel tempo, se non fosse per un piccolo dettaglio. Il giovane non aveva certo rivelato all’amata di avere moglie e figli in Oriente, che aspettavano impazienti il suo ritorno, e che presto egli stesso sarebbe tornato in patria, abbandonandola.
Appresa la notizia e colta da un’impeto d’ira per il tradimento e l’umiliazione subiti, la fanciulla pianificò allora la sua vendetta. Attese che il suo amante si addormentasse profondamente per poi ferirlo mortalmente. Realizzò però che neanche la morte avrebbe potuto separarla dal suo amato defunto, perciò decise di tagliargli la testa per ricavarne un vaso e continuare a dedicargli tutte le sue amorevoli cure. Piantò in essa un seme di basilico, che crebbe rigoglioso, poiché innaffiato dalle sue lacrime dolceamare. La scelta del basilico è emblematica e giustifica la presenza delle corone sulle teste di moro. Oltre ad essere una pianta aromatica tipica della cucina siciliana, è di nobili natali, difatti deriva dal greco basilikos, il cui aggettivo basileus vuol dire “regale”. Da qui, pianta regia, a causa del suo profumo tanto inebriante da essere degna di un re.